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Lo “strano effetto” dello smartworking

Continuiamo a fare due errori fondamentali:

– Attribuire allo smartworking le colpe delle mancate relazioni, quando invece queste sono mancate per via del lockdown.

Mi sembra evidente che, una volta tornati alla normalità, a nessuno sia stato impedito di avere relazioni.

Il secondo errore è quello di delegare al solo ambito lavorativo la cosiddettà “socialitá” delle persone.

Al lavoro è possibile creare amicizie, certo (anche trovare mogli, mariti e amanti!), ma quando la tua socialitá si svolge prevalentemente in ufficio, siamo di fronte ad un problema molto più grave di quello che viene proposto in questo post.

Lo smartworking permette alle persone di distinguere finalmente dove finisce il lavoro e inizia la vita vera, di riappropriarsi della propria socialitá, di avere tempo per conoscenze, passioni, amici e relazioni.

Un progetto di lavoro non ha bisogno di contatto quotidiano e di continue riunioni di allineamento, dovremmo ormai averlo imparato.

Gli affetti e le amicizie vere invece si. Sono quelle che hanno bisogno di cura e presenza costante, continua e giornaliera che ci fanno essere uomini migliori, genitori migliori, compagni migliori, figli migliori, amici migliori.

E quando si è in equilibrio si è anche lavoratori e professionisti migliori.

Uffici vuoti.

Nell’ambito del post, come sempre c’è chi prova a buttare la palla fuori dal campo, immaginando scenari in cui nessuno va più fisicamente a lavorare.

Non esisteranno mai gli uffici interamente vuoti o persone che lavoreranno sempre da casa. Ma esisteranno Persone che potranno scegliere quando è necessario andare in ufficio, che sapranno gestire meglio obiettivi e responsabilità, che alleneranno le capacità di interazione con la propria squadra e al tempo stesso potranno anche vivere a 500 km dall’azienda, scegliendo di non abitare in pollai, in quartieri dormitorio o di sperperare due terzi dello stipendio in spostamenti, affitti assurdi e pessima qualità della vita (ben confezionata).

Senza Amici

All’interno del post una signora mi attacca chiedendomi in che modo io faccia amicizie: palestra, feste o tinder. Aggiungendo che circa il 70% dei suoi amici sono colleghi di lavoro.

Ci sarebbe da farsi serie domande su una risposta del genere. Avere come amici solo colleghi di lavoro di fatto non è una scelta. Non stai decidendo chi sono i tuoi amici. E’ come scegliere gli amici al supermercato: sono già tutti lì e non hai che metterli nel carrello. Ma difatto, non stai decidendo nulla.

Una questione di Burocrazia

Un direttore del Personale fa notare che “Lo sw, nell’accezione del lavoro agile intesa dal legislatore, non consente di derogare a certe regole anche nell’attività svolta da remoto. Questa socialità, questo tempo per passioni e amicizie non lo vedo visto che comunque deve esistere l’impegno e la disponibilità lavorativa costante nell’orario previsto dal contratto e dagli accordi. Gli accordi prevedono altresi (parlo per i dipendenti ovviamente) una distribuzione oraria abbastanza precisa e ciò non consente “svaghi” se non le classiche pause. Certo, si lavora da casa, ci si fa trovare dal corriere, si curano i figli ma ciò non significa che si liberi tempo perché quello dedicato al lavoro deve essere lo stesso (i CCNL non hanno ancora derogato a questo). La parte di relazione al lavoro, invece, è importante ed insostituibile (sopratutto per i giovani) poiché passiamo buona parte della nostra esistenza al lavoro (o impegnati nel lavoro) e buona parte del processo di crescita dei giovani passa dal lavoro e, quindi, anche dal rapporto con gli altri e con il mondo professionale esterno.

Purtroppo ancora una volta si sottolinea come gli uffici del personale ancora non riescano (e molti non vogliamo) adeguarsi a un cambiamento ormai acclarato per il quale molte aziende stanno perdendo appeal e reputazione.

Le regole si cambiano.
Le associazioni di categoria quando e dove hanno voluto hanno imposto alla politica le loro agende e sono riuscite ad ottenere risultati immediati.

Le Risorse Umane hanno purtroppo un doppio peccato originale: non hanno una rappresentanza di categoria rilevante, sono ancora troppo ancorate a modelli di comando e controllo retaggio degli anni 70.

E mi spiace dirlo, ma in troppi casi sono meri esecutori della volontà patronale o puri amministrativi al cappio delle norme.

Dovremmo partire da qui.

Questo è il link per seguire il post completo, pubblicato da Andrea Mattioli.

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