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La dignità a tempo determinato degli industriali

Il Decreto Dignità di Di Maio non è piaciuto a nessuno. Mi sembra evidente.

Non è piaciuto a Confindustria che ha fatto sapere per voce del suo Direttore Generale Marcella Panucci, “così si disincentivano gli investimenti e si limita la crescita” senza però spiegarci in che modo un lavoratore che da 2 anni è confermato attraverso proroghe “flessibili” non abbia tutte le carte in regola per essere assunto regolarmente. Né tantomeno ci spiega per quale motivo – proprio lei che è a capo del più grande Centro di Divulgazione Comunicativa di Industria 4.0 e dintorni (più “dintorni”, direi) attraverso centinaia di Convegni autopromossi negli ultimi due anni – assimili ad una logica propedeutica i necessari investimenti di un’azienda per essere competitiva sui mercati di tutto il mondo con le altrettanto necessarie assunzioni di personale selezionato per rendere operativa tale competitività.

Non è piaciuto ad Assolavoro, l’Associazione delle Agenzie per il Lavoro presieduta dal Direttore di un’Agenzia per il Lavoro che, dopo anni di tavolate con tutti i Governi possibili, hanno goduto prima dell’abbrutimento della Legge Treu sul lavoro interinale abolendo a loro favore le 3 condizioni necessarie alla somministrazione (che permettevano sì un beneficio della flessibilità aziendale ma anche la tutela dei lavoratori), poi sono riusciti ad ottenere benefici straordinari (come l’assegno di ricollocazione nell’ordine dei 30.000 euro da spendere nelle APL) permettendo alle ex Agenzie interinali, divenute dei Centri di Consulenza a tutto tondo, di incrementare notevolmente la propria presenza nonché i fatturati.

Giusto per ricordarlo, queste erano le condizioni della prima legge sul lavoro interinale:

  • sostituzione di lavoratori assenti per qualsiasi ragione (compresa malattia o ferie) con l’esclusione dei lavoratori in sciopero, sospesi o con orario ridotto che hanno diritto al trattamento di integrazione salariale;
  • temporanea utilizzazione in qualifiche particolari non previste dai normali assetti produttivi dell’azienda;
  • motivazioni previste dal CCNL della categoria di appartenenza dell’impresa utilizzatrice, stipulati dai sindacati maggiormente rappresentativi.

Vietando l’abuso dell’utilizzo della flessibilità nelle aziende:

  • che sono state interessate, nei 12 mesi precedenti, da licenziamenti collettivi che abbiano interessato lavoratori adibiti alle mansioni cui si riferisce la fornitura, salvo che la stessa non avvenga per sostituire lavoratori assenti con diritto alla conservazione del posto;
  • nelle quali sono in corso sospensioni dal lavoro o riduzioni d’orario con diritto al trattamento di integrazione salariale, che interessano lavoratori adibiti alle mansioni cui si riferisce la fornitura;
  • che svolgono lavorazioni che richiedono una sorveglianza medica speciale o lavori particolarmente pericolosi in quanto comportano un rischio di grave infortunio (es.: manipolazione di materie esplodenti in attività di produzione, deposito e trasporto) o di tecnopatia grave derivante dall’esposizione ad agenti cancerogeni (amianto, cloruro di vinile monomero, ecc.).

Il Decreto Dignità non è piaciuto all’Associazione dei Direttori del Personale che,

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