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Non sarà un TEDx a cambiare il mondo

A Torino, la temperatura era alta.

Lo sapevo da cinque mesi che sarei dovuto salire sul palco del TEDx Torino. MI chiamò Cristian Ranallo che ricordo ero sul portone del Lanificio Cangioli a Prato a presentare alcuni candidati in azienda e mi disse: “Facciamo un TEDx per festeggiare i cinquecento anni dell’uomo vitruviano di Leonardo e il tema sarà l’innovazione. A proposito! Facciamo una sorpresa a Ivan Ortenzi, abbiamo convocato anche lui ma non sa che ci sei anche tu“. Ho il sospetto che a lui abbiano detto la stessa cosa.

La preparazione di un TEDx può avvenire in mille modi. Ogni tanto mi piace dare una mano ad amici che ne organizzano facendo foto e dando un supporto sui canali di FiordiRisorse (Bologna, Cesena, Ascoli e Cortina), o per esperienze vissute direttamente.

A Bologna sono salito sul palco che nessuno sapeva di cosa avrei parlato. Per indole evito di fare prove. Non è scaramanzia, piuttosto il timore che qualcosa vada storto e il giorno del debutto ci si “ingrippi” o che vada talmente bene che poi diventa difficile ripetere tutto nello stesso modo e la frustrazione poi sarebbe enorme. Provai tantissimo, ma nella settimana del debutto, 3-4 giorni prima, per cercare le parole adatte ed evitare che all’ultimo momento vengano a mancare mentre sei sul palco.

Devo dire che Andrea Pauri, licenziatario del TEDx Bologna è stato molto bravo a gestirmi e mi ha anche un pò preso in giro al punto tale da creare un’infografica ad hoc, a beneficio dei posteri che chiedono le slide 15 giorni prima e che seguono ogni minimo processo nel dettaglio.

Elisa ha fatto di tutto per essere il tuo coach

mi dice Cristiano dopo qualche giorno. Ho voluto parlare con lei. Ho cercato di spiegarle che se davvero aveva stima di me era meglio non mi vedesse preparare l’intervento.

Ha insistito.

Credo non mi stimi più.

Il punto è che, non so voi, ma o le idee mi arrivano immediatamente e inizio a svilupparle con grande anticipo almeno a livello didascalico, mentale, oppure è molto probabile che l’illuminazione mi arrivi anche solo 48 ore prima. Credo di dovermene fare una ragione: produco meglio sotto stress.

Alla prima riunione via skype per confrontarci su argomento e policy delle slide, io le slide non le avevo. Ma c’erano 5 Persone collegate che di certo non si aspettavano un balbuziente con delle foto appiccicate alla meno peggio su un powerpoint scricchiolante, complete di tutte le infrazioni possibili e immaginabili al regolamento dei TEDx di tutto il mondo.

Mi piacerebbe poter pubblicare i whatsapp di Elena nei 5 giorni successivi che mancavano all’intervento: suggerimenti molto pacati e sensati con il tono disilluso di chi non ha più niente da perdere e la cui strategia sia di salvare il salvabile. Qualche indicazione tecnica sulle slide, qualche giudizio sul tema proposto, tutto in tonalità bemolle che lasciava percepire un sotto testo apocalittico.

A 48 ore dall’intervento, avevo 5 slide pronte. Avevo deciso di lavorare sul tema dei manager che non prendono mai pausa e sull’abuso del concetto di innovazione, sulle app delle multinazionali di delivery food e sulla carta dei diritti dei lavoratori digitali, ma in parte funzionava e in parte no. La parte no è quella in cui incominci ad assumere quel tono del genere: “ai miei tempi…

Poi David mi manda un messaggio: “dài un’occhiata a questo articolo qui“. Era la storia di Andrea, un mio contatto Linkedin fra le altre cose, ragazzo giovane che rompe con il concetto di innovazione che gravita intorno a quegli ambienti tutti biliardini, puff e battiilcinque. Una bella denuncia ad un luogo che proprio perché creato con una mentalità moderna dovrebbe trasferire innovazione e attenzione per le Persone ogni momento.

E invece si finisce per ritrovarsi in ambienti patinati, in cui i diritti hanno fatto un salto indietro di 30 anni, i doveri sono triplicati e la forma sostituisce ogni responsabilità. Almeno quella del datore di lavoro. Ambienti in cui uno solo gode dei frutti del lavoro di tutti, della visibilità elevata alla centesima potenza di un mondo (quello del digitale) che ha continuamente bisogno di fenomeni e fenomenologie da raccontare e che ha la memoria sempre abbastanza corta per fare tesoro degli errori.

La fuffologia dell’errore: l’alibi di questa generazione.

Non per niente, “l’errore non è importante”. Invece l’errore è fondamentale ed è proprio sulla base degli errori che è bene che ognuno di noi venga valutato e gli venga data nuova fiducia. O non data.

Per non farla lunga. Alla fine il TEDx è andato bene, credo. Ho conosciuto tantissimi ragazzi presenti e sono contento che fossero ragazzi, che fossero giovani e che gravitassero proprio in quei mondi che ho stigmatizzato. Sono stati i primi a dirmi che con la retorica startuppara non si va da nessuna parte e che certi luoghi sono diventate vetrine per fare business vecchio travestito da novità.

Ci sono Persone che hanno voglia di cambiare i racconti (oggi si dice “le narrazioni” perché ci fa già un pò schifo la parola “Storytelling“. A ragione) e che hanno solo bisogno che qualcuno provi a invertire la direzione di marcia per avere il coraggio di alzare la voce sul brusio di fondo.

Io ringrazio Andrea per essere arrivato al momento giusto, perché probabilmente un altro tipo di intervento non mi avrebbe permesso di conoscere quei ragazzi e scambiare con loro un concetto di innovazione che anziché distruggere tutto quello che c’era prima, usa l’esperienza per costruire su terreni solidi.

Meno scintillanti, ma più solidi.

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