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Col personal branding vendi anche la pasta

Il Personal Branding prescinde da ciò che vendi, ma è indispensabile affinchè tu venda. Ogni parola viene analizzata e confutata dalla rete, così che anche i migliori “leader di settore” finiscono nella raccolta differenziata dei Comunicati Stampa dei loro Amministratori Delegati.

Il triste epilogo per quei manager che hanno costruito la propria immagine nascosti dietro una pesante scrivania in legno massello senza mai guardare fuori dalla finestra.

Gianluigi e Domenico sono due dirigenti che lavorano nello stesso settore – quello alimentare, in grandi multinazionali di matrice italiana – in due differenti Regioni italiane. 

Parliamo di reti di relazioni, dell’importanza di differenziare la comunicazione istituzionale (la pubblicità più o meno evidente) dalla comunicazione social(e). Parliamo della possibilità di promuovere i propri brand, anche di coloro che certo non hanno bisogno di presentazioni, attraverso testimonianze e storytelling, accorciando le distanze con i consumatori.

Gianluigi è curioso. Ha l’eleganza naturale e lo standing tipico di chi è abituato ad andare veloce e a relazionarsi con tutti. Non è un nativo digitale, utilizza i social con moderazione ed è più facile che qualcuno usi la sua bacheca facebook per regalargli un selfie fatto insieme in occasione di un evento, che non per uso personale. Su 4Square invece è molto attivo. Quando va all’estero ti racconta quasi tutti i suoi itinerari. Se fai una battuta, Gianluigi ride fragorosamente. Se non capisce fa domande. Se lo inviti ad ascoltare un personaggio interessante, si libera e apre la mente. Poi commenta con te, che tu abbia dieci lauree o un solo diploma. Gianluigi ha un’ esperienza americana, affascinante e divertente quando racconta il cambiamento culturale che lui in prima persona ha fatto per la sua azienda con quel popolo per il quale la pasta era tale se rimaneva appiccicata alle pareti Forse è per questo che la sua mente lavora in apertura orizzontale, il diaframma è completamente aperto e la luce entra, totale.

Per parlare con Domenico c’è voluto più di un anno. Impegnato con le riunioni di Confindustria o dell’Associazione della sua categoria, non aveva mai tempo. Ma in quella giornata di ottobre, finalmente siamo riusciti ad ottenere un breve incontro. Domenico è quasi sempre seduto dietro la scrivania. Ci accoglie la sua assistente e quando entriamo nel suo ufficio lui rimane comunque seduto. Non vendiamo nulla; proviamo a coinvolgerlo e lo invitiamo a raccontare il suo brand ad un evento della nostra associazione di Persone. Viviamo di storie, di scambi di idee e di competenze, di networking libero. Ma la sua azienda ha smesso di dare visibilità a tutti e a non ricevere niente indietro ci dice. Pertanto, nisba: niente storie, niente esperienza, niente scambio di idee. Proviamo a raccontarci, ma lo sguardo è quello di chi sta perdendo tempo, di chi non ha bisogno perchè il suo brand è leader di mercato, è amico della politica, tutti lo conoscono.
Il nostro incontro termina dopo nemmeno 20 minuti con la promessa di venire a trovarci per capire meglio. Ogni invito è stato poi gentilmente declinato.

Inutile dire quale dei due brand ha una presenza significativa in rete, una community attiva e vivace di Persone che dialogano sui social network. Inutile dire chi dei due continua a fare analisi di mercato old-style e chi genera continuamente e semi-gratuitamente idee grazie al supporto dei consumatori in rete. Chi dei due ha un export significativo che permette di risolvere la crisi.

A mio parere, la capacità con la quale la rete ti permette oggi di essere in contatto non più solo con i call center, ma con le Persone che vivono e lavorano nelle aziende, ha generato l’impercettibile ma significativo ruolo del brand ambassador. Ogni volta che ricopri il tuo ruolo aziendale, di fatto diventi testimone della cultura e dei valori della tua azienda. Non è raro infatti che certi brand vengano identificati con i loro manager (Marchionne non mi piace, non compro Fiat. Steve Jobs mi piace, compro Apple).

Ultimamente ho conosciuto Pietro, nelle Marche. Ha un brand di pasta un pò ricercato e molto artigianale. Pietro per natura non è un innovatore ma è un bravo artigiano moderno. Si è circondato di collaboratori brillanti, ha capito che le relazioni accelerano il business e che la visibilità si costruisce ogni giorno. Se mai diventerà un colosso internazionale ci avrà messo la metà del tempo di Domenico, stringendo molte più mani.

Articolo pubblicato il 13/6/2014 su Il Giornale Digitale

Pubblicato in Blog

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